NRV  Luke 16:1 Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. 2 Egli lo chiamò e gli disse: “Che cos’è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore”. 3 Il fattore disse fra sé: “Che farò, ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. 4 So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l’amministrazione”. 5 Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: 6 “Quanto devi al mio padrone?” Quello rispose: “Cento bati d’olio”. Egli disse: “Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta”. 7 Poi disse a un altro: “E tu, quanto devi?” Quello rispose: “Cento cori di grano”. Egli disse: “Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta”. 8 E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce. 9 E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi.

(Luk 16:1-10 NRV)

Luca 16,1-13

 Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni.

 2 Egli lo chiamò e gli disse: “Che cos’è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore”.

 3 Il fattore disse fra sé: “Che farò, ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno.

 4 So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l’amministrazione”.

 5 Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo:

 6 “Quanto devi al mio padrone?” Quello rispose: “Cento bati d’olio”. Egli disse: “Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta”.

 7 Poi disse a un altro: “E tu, quanto devi?” Quello rispose: “Cento cori di grano”. Egli disse: “Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta”.

 8 E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.

 9 E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne.

 10 Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi.

 11 Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere?

 12 E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri?

 13 Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».  (Luk 16:1-13 NRV)

NIV  Luke 16:1 Jesus told his disciples: “There was a rich man whose manager was accused of wasting his possessions.

 2 So he called him in and asked him, ‘What is this I hear about you? Give an account of your management, because you cannot be manager any longer.’

 3 “The manager said to himself, ‘What shall I do now? My master is taking away my job. I’m not strong enough to dig, and I’m ashamed to beg–

 4 I know what I’ll do so that, when I lose my job here, people will welcome me into their houses.’

 5 “So he called in each one of his master’s debtors. He asked the first, ‘How much do you owe my master?’

 6 “‘Nine hundred gallons of olive oil,’ he replied. “The manager told him, ‘Take your bill, sit down quickly, and make it four hundred and fifty.’

 7 “Then he asked the second, ‘And how much do you owe?'”‘A thousand bushels of wheat,’ he replied. “He told him, ‘Take your bill and make it eight hundred.’

 8 “The master commended the dishonest manager because he had acted shrewdly. For the people of this world are more shrewd in dealing with their own kind than are the people of the light.

 9 I tell you, use worldly wealth to gain friends for yourselves, so that when it is gone, you will be welcomed into eternal dwellings.

 10 “Whoever can be trusted with very little can also be trusted with much, and whoever is dishonest with very little will also be dishonest with much.

 11 So if you have not been trustworthy in handling worldly wealth, who will trust you with true riches?

 12 And if you have not been trustworthy with someone else’s property, who will give you property of your own?

 13 “No one can serve two masters. Either you will hate the one and love the other, or you will be devoted to the one and despise the other. You cannot serve both God and money.” (Luk 16:1-13 NIV)

Inno 58

PREDICAZIONE

Cari fratelli e sorelle, la parabola, proposta dal lezionario “un giorno una Parola” per la meditazione di oggi, sembra essere più ermetica di tante altre, ma sappiamo che Gesù in tutti i suoi discorsi e parabole vuol fare emergere la realtà dell’amore di Dio, l’invito al ravvedimento, l’attesa per il Regno.

Per comprendere il senso della parabola dobbiamo innanzi tutto capire le azioni dei protagonisti e trarre da queste il giusto insegnamento.

Abbiamo il ricco padrone che sembra non curarsi troppo dei propri averi, vive di rendita ed ha alle sue dipendenze un servitore che cura i suoi interessi; Abbiamo un servitore con delega da parte del padrone a condurre affari nel suo nome, infatti la sua firma sugli atti di compra – vendita era valida e legale, come quella del suo padrone.

Questo amministratore, dal momento che agisce senza controlli conduce una vita al di sopra delle sue possibilità, sperperando i soldi del padrone.

Gli ascoltatori della parabola, oltre ai discepoli espressamente citati, sono anche i farisei, noti per la loro cupidigia ed avarizia ed è verosimile che rimangano fortemente delusi nell’ascoltare di un padrone che loda un servitore chiaramente disonesto.

Poi ci sono i debitori, persone che dovevano somme notevoli al ricco padrone e che improvvisamente vengono chiamati, non per onorare i propri debiti, ma per vederseli in parte diminuiti, generando un notevole risparmio sul dovuto.

A questo punto, inquadrati i personaggi possiamo passare alla trama del racconto: qualcuno, come sempre succede, per invidia, per vendetta verso il servitore o semplicemente per far apparire il padrone come un sempliciotto va a raccontargli che il suo servitore sta sperperando la sua ricchezza.

Di fronte a questa informazione il padrone non può fare a meno di verificare se le accuse sono fondate o meno, chiama il servitore e gli ordina di portargli la contabilità aggiornata, aggiungendo che se le accuse risulteranno fondate egli non potrà più essere il suo amministratore, anzi verrà licenziato.

Il servitore si rende conto di essere  stato scoperto e con sano pragmatismo unito alla lungimiranza di quel che avverrà, dopo aver presentato i conti, perfettamente consapevole di non avere la forza di svolgere un lavoro manuale e di provar vergogna nel chiedere l’elemosina, decide di prepararsi un futuro creandosi delle amicizie, ancora una volta a scapito del padrone, scontando ai debitori gli importi che essi dovevano al suo padrone.

A chi doveva 100 barili di olio fa lo sconto del 50% facendogli risparmiare circa 500 denari; a chi gli doveva cento misure di grano fa lo sconto del 20%, realizzando per lui lo stesso risparmio del primo e lo fa  nella piena legalità.

Si tratta di risparmi notevoli, un favore che i debitori avrebbero ricambiato accogliendo chi li aveva concessi. 

Quando il padrone viene a conoscenza di quel che aveva fatto il suo amministratore, invece di licenziarlo e mandarlo in galera lo loda perché ha agito con scaltrezza.

Perché l’ha fatto? Perché non ha denunciato le malefatte del suo servitore?

Perché Dio di fronte al nostro peccato non ci punisce? Anzi ci viene annunciata la Sua Grazia ed il Suo amore?

Il ricco padrone si comporta in modo strano, incomprensibile per la nostra logica basata sul raziocinio ed il rispetto della legge.

Il padrone sicuramente non approva il fatto che l’amministratore abbia sperperato il suo denaro,  si rende conto che l’azione del servitore torna a suo vantaggio, consentendogli di apparire giusto e generoso nei confronti di coloro che gli dovevano denaro, ma loda la sua prontezza nel risolvere un suo problema personale in vista di un futuro sicuro.

Il vangelo di Luca riporta molti passi di condanna verso i ricchi, verso la ricchezza accumulata ingiustamente, a partire dall’affermazione di Gesù che è più facile ad un cammello di passare per la cruna di un ago che ad un ricco di entrare nel regno dei cieli, per finire con l’ammonimento che non si possono servire due padroni:  Dio e mammona. 

Gesù stupisce i suoi ascoltatori, e non è la prima volta. Li stupisce quando guarisce gli stranieri e i peccatori, quando agisce di sabato, o ancora quando presenta la figura positiva del samaritano rispetto a quelle del fariseo e del dottore della legge che passano volutamente dall’altra parte della strada per non farsi carico delle esigenze del prossimo bisognoso di aiuto.

La prosperità, la ricchezza erano considerati segni della benevolenza di Dio, ma Gesù condanna la sete di potere, l’accumulazione della ricchezza fine a se stessa, l’asservimento al dio mammona, nella vana speranza di ricavare appoggio e sicurezza dai beni, dal denaro, dal potere considerati come un idolo al quale sacrificare la propria vita.

La benevolenza di Dio esige in cambio il rispetto del comandamento d’amore che recita: “ amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua e con tutta la tua mente” , perché come scrive Bonhoeffer, se non amiamo Dio, lo odiamo. Non c’è via di mezzo: Dio è Dio, perché può essere solo amato o odiato. O ami Dio oppure i beni del mondo.

Molta gente e nazioni intere hanno amato i beni del mondo più di Dio ed hanno accumulato enormi ricchezza mediante lo sfruttamento, e l’accaparramento delle materie prime dei paesi più poveri, costringendoli poi ad indebitarsi per comprare armi, per combattere guerre tra diseredati.

Ricchezze ingiuste, accumulate solo per servire il Dio mammona, fondate sulla miseria di intere popolazioni, costrette a migrare, ad elemosinare la benevola accoglienza dei paesi ricchi.

Una cosa è sicura: saremmo ben felici se un economo un po’ furbo si proponesse di dimezzare l’importo del debito dei paesi del terzo mondo, realizzando un concetto di giustizia assai vicino alla giustizia di Dio.

E poi Gesù aggiunge un’altra parola egualmente sconvolgente, dice:

“Perché i figli del mondo attuale sono più sensati dei figli della luce con la loro generazione”. Che cosa intende Gesù? Intende dire che, in specifiche circostanze, i figli del mondo, cioè le persone che non hanno fede, possono essere dati in esempio ai figli della luce, ovvero  ai credenti. Perché?

Perché appunto, in certe circostanze, è importante vivere e agire nel mondo e non disprezzarlo, quello di Gesù è un invito all’azione responsabile, sensata,

ragionevole nel mondo.

Ma  allo stesso tempo Gesù rinnova la vocazione rivolta ai figli della luce affinché abbandonino definitivamente le tenebre. 

Perché saremo anche figli e figlie della luce ma per il momento siamo tutti nelle tenebre.

Alla fine Gesù dice: procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.

Noi siamo ricchi poiché il Signore continua a colmarci di doni, ma la nostra ricchezza, affinché non sia disonesta, dobbiamo metterla a disposizione del nostro prossimo, dobbiamo essere onesti e fedeli, perché nessuno ci può togliere la speranza di un’altra giustizia, quella di Dio, nessuno ci può impedire di credere che da questa crisi tremenda possano rinascere un senso civico e un desiderio comune di lavorare per il bene della città.

E il bene della città consiste nell’annuncio della Grazia di Dio, donata a tutti, senza compromessi e riserve, costruendo con il nostro prossimo una trama di relazioni tessuta con la solidarietà e l’amore fraterno.  Amen

La predicazione in italiano è disponibile in formato audio qui sotto:

The audio in english for this Sunday’s service is available below:

1Tessalonicesi 5,1-6

1 Quanto poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; 2 perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. 3 Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno.
4 Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; 5 perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. 6 Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri;

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NRV Genesi 11:1 Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole.

 2 Dirigendosi verso l’Oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Scinear, e là si stanziarono.

 3 Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamo dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e bitume invece di calce.

 4 Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra».

 5 Il SIGNORE discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano.

 6 Il SIGNORE disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare.

 7 Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!»

 8 Così il SIGNORE li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire la città.

 (Gen 11:1-8 NRV)

Carissimi fratelli e sorelle,

il mito di Babele, raccontato dal libro biblico di Genesi è estremamente evocativo e di una attualità impressionante: In un paese dell’Est, una grande civiltà, dove vige un’unità d’intenti e di linguaggio, avviene qualcosa che spezza l’opera umana e disperde, li separa spargendo gli esseri umani per tutto il creato e li rende portatori ognuno ed ognuna di un linguaggio differente.

Per millenni questo racconto è stato interpretato come l’effetto della punizione divina per l’arroganza umana: il desiderio luciferino di sostituirsi a Dio nella sua sovranità e arrivare al conquistare il Cielo.

Gli studiosi di archeologia hanno poi spiegato che questo racconto è un antico mito che è permeato dalla civiltà babilonese a quella biblica e ne è una critica feroce, descrivendo una ziggurat (in particolare entemenaki- casa del Dio Marduk e fondamenta del cielo e della terra) come l’emblema del peccato umano contro Dio.

L’analogia con il mondo odierno e la crisi pandemica mondiale mi pare evidente: in molti si sono domandati se il Covid-19 fosse in effetti una punizione di Dio contro un’umanità corrotta, alcuni (anche tra gli esponenti religiosi e politici) sono persino arrivati ad affermarlo pubblicamente.

Analizzando bene il testo biblico però ci accorgiamo di alcune cose che ci possono aiutare a fare delle considerazioni insieme.

Laddove si narra di una lingua unica per tutta la terra, ci accorgiamo che quando questi uomini parlano il linguaggio è estremamente semplice: Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamo dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e bitume invece di calce. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra».

Le parole utilizzate nel testo originario ricordano i suoni della costruzione, ma sono povere nella varietà semantica e assolutamente strumentali allo scopo. In questo linguaggio che oserei chiamare “tecnico” non c’è spazio per il colore, per il suono, per la fantasia e per la diversità. Tutto è omologato e funzionale all’esito di ciò che si sono proposti. Per la nostra sensibilità europea ci sembra quasi di leggere un infantilismo o forse una latente dittatura del linguaggio unico.

C’è anche una grande capacità tecnologia, questa civiltà è infatti capace di trasformare gli elementi naturali in utensili adatti alla costruzione durevole nel tempo, ma da bravi apprendisti stregoni quando trasformano la natura non si accorgono degli effetti collaterali e fanno avverare la loro paura più profonda: la divisione la separazione e la dispersione.

Sembra di leggere ciò che accade anche oggi, nell’epoca geologica che è stata definita Antropocene, per la capacità dell’essere umano di incidere e trasformare negativamente la terra. Le nostre capacità tecnologiche attuali sono elevatissime, ma sovente non ci poniamo alcun limite etico, lasciandoci guidare principalmente dall’utilitarismo o da logiche di mercato. Credo che come credenti questa sia una riflessione importante: quali sono le nostre scelte e le nostre proposte etiche? A chi riconosciamo la signoria sulla nostra vita? La civiltà di Scinear si basa sull’etica dell’incertezza e della paura, tant’è che hanno bisogni di costruire per farsi un nome, per essere ricordati oltre la propria vita, ma in tale necessità si ravvisa una profonda mancanza di fede.

Non so cosa sia avvenuto nelle altre comunità di fede, in questi scorsi mesi, ma nella nostra Chiesa c’è stata una sovra produzione di materiale liturgico, di predicazioni, di incontri online: mai come nel periodo del lock down le persone sentivano l’esigenza di avere un contatto con il Divino, ma perché? La paura è un grande motore che attiva le persone, ma non crea credenti fiduciosi, ma solo automi che agiscono senza riflettere come nel caso dei costruttori di Scinear.

Sono emersi in questi mesi dei dati preoccupanti, l’aumento del disagio psicologico, della violenza domestica, i discorsi d’odio nei confronti dei presunti “untori” di turno: Sovente quando gli esseri umani provano paura si trincerano, si chiudono, si barricano, ma quando ci siamo trovati costretti a casa, abbiamo tutti e tutte dovuto fare i conti con la nostra solitudine. Una lezione molto importante è che si può essere soli, benché circondati di altre persone oppure in comunione con gli altri, anche se fisicamente separati. Questo è qualcosa che la civiltà di Scinear non aveva capito e forse nemmeno la nostra, ma ritengo che il messaggio Evangelico di oggi e dell’incontro tra le diverse religioni possa prendere spunto da Babele per riflettere. 

Quella che per secoli è stata descritta come la punizione di Dio ovvero la separazione delle lingue e la radice della diversità, desidero leggerla invece nella prospettiva del dono e dell’occasione che si apre per gli esseri umani di vivere in comunione nella diversità.

Unità nella diversità è uno dei grandi temi alla radice del movimento ecumenico sin dai suoi albori, motto ripreso poi anche dal Consiglio Europeo.

Siamo fratelli e sorelle sempre nella diversità: nessuno è uguale all’altro e all’altra; il linguaggio è sempre nuovo, da imparare, da ristudiare, poiché esso è sempre una mediazione di quell’inesprimibile diversità divina che alberga nella nostra unicità.

Quale è però la nostra specificità come Chiesa? Come credenti, che incontrano Dio proprio scontrandosi con la scoperta della diversità?

Proprio dove c’è l’inaspettato, la dispersione, la “semina”, può esserci la raccolta, l’incontro con l’Altro da sé.

Noi abbiamo come credenti una grandissima responsabilità nell’interpretazione e nella trasmissione dei testi: questi raccontano dell’esperienza di fede di chi ci ha preceduto, sono per noi sacri e talvolta sono stati usati per assolutizzare il Verbo, anziché parlare della Libertà e Pace che da esso promana.

Uno di questi casi è stato proprio l’uso distorto del racconto della torre di Babele, che fu utilizzato come la base teologica della giustificazione religiosa dell’Apartheid in Sudafrica.

Proprio un teologo Calvinista Africaner affermò che giacché Dio aveva diviso i popoli allora era bene che ogni popolo stesse separato, un’interpretazione orribile, che rifiuta l’incontro e demonizza la diversità, per cui la Chiesa Presbiteriana del Sudafrica ha fatto confessione di peccato.

Ogni religione, ogni Chiesa, ogni persona nell’incontro con l’Altro, incontra anche la parte più autentica di sé, espone le proprie paure, le proprie contraddizioni e la propria mancanza di fede, ma nell’incontro tra diversi è possibile iniziare ad articolare un discorso, una narrazione identitaria che è trasformante e costruttiva.

Dare valore alla diversità come dono di Dio è proprio narrare una storia differente, poiché non c’è chi include e chi esclude, ma si è parimenti impegnati nella scoperta, nello scontro, nella decodificazione del sé e dell’altro. Un processo lungo e difficile, ma benedetto dal Signore.

Ricostruire dopo il peccato di Babele significa quindi accogliere l’idea della diversità come fondante della realtà creaturale. Belle parole, ma difficili poi nei fatti, perché la diversità a volte può essere percepita come confusione, come distrazione dodecafonica, rispetto all’armonia del già conosciuto, ma è anche vero che le melodie e le danze più belle nascono proprio dalle grandi contaminazioni culturali e dalle narrazioni degli incontri e degli scontri tra popoli e gruppi diversi.

Dal punto di vista religioso e culturale questo è un grande cambiamento di mentalità, una grande conversione, poiché non c’è una visione più giusta delle altre, ma c’è la costruzione di una comunità condivisa, basata sulla diversità, sulla rinegoziazione, sulla conoscenza reciproca, sul rispetto e la tutela degli ultimi e del Creato.

È necessaria quindi una riflessione su come imparare ad arricchire il proprio linguaggio, quando ci rivolgiamo agli altri, poiché comunicare non è solo trasmettere, ma è anche e soprattutto saper osservare ed ascoltare: L’ascolto attento ci dona parole, suoni, sensibilità in colori e forme inaspettati.

Conversione personale e comunitaria in cui tutti e ciascuno ci assumiamo la responsabilità delle scelte tecnologiche, dei consumi, ma anche e soprattutto dell’ascolto e della pazienza reciproci. Una conversione in cui permettiamo ai nostri tesori più preziosi di essere apprezzati dagli altri e dalle altre, ma in cui riceviamo anche i preziosi doni altrui.

Ognuno è portatore di diversità e al tempo stesso ognuno è parte di una storia particolare, molto specifica e delimitata; Babele è il dono dello spazio che si amplia, della caduta dei confini, della libera circolazione delle persone, della possibilità di esplorare e di emigrare, di trovare e fondare una casa laddove non avremmo mai immaginato.

La fede nel Dio che ama nella diversità è una fede che ci unisce e che apre anche la porta del Cielo, già qui in terra, che apre i nostri confini, che permette il reciproco rispetto e il riconoscimento, senza l’omologazione.

Una grande fatica crescere insieme, ma il premio è ancora più grande.

Amen

La predicazione di oggi è disponibile in formato audio qui sotto

Matteo 15,21-28

21 Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. 22 Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: «Mandala via, perché ci grida dietro». 24 Ma egli rispose: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele». 25 Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: «Signore, aiutami!» 26 Gesù rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». 27 Ma ella disse: «Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le disse: «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». E da quel momento sua figlia fu guarita.

“Gesù Dio e uomo”, lo sappiamo, sì ma quanto è umano Gesù? A giudicare da questo brano lo è tantissimo, così tanto da arrivare all’insulto. Certo, c’è il lieto fine, la figlia viene guarita, ma a che costo? Al costo di subire un maltrattamento dal maestro? Al costo di una risposta umiliante per chi la pronuncia con l’ammissione di essere un “cagnolino”?  I versetti di oggi lasciano un po’ l’amaro in bocca: ci restituiscono un Gesù che , sebbene portatore di un messaggio di guarigione e  salvezza, tale messaggio pare oscurato da parole dure. Che Gesù è questo ? Chi siamo noi di fronte a questo Gesù?

Ecco la scena: siamo in terra pagana, Tiro e Sidone e la donna è cananea, appartiene ad un altro mondo rispetto a quello dal quale proviene Gesù : non è israelita, rispetto alla Galilea la sua è una terra ricca, popolata da miscredenti. E’ donna . Nell’incontro col Maestro si incontrano  due realtà diverse, quasi opposte, la donna per Gesù è  “l’Altro “ il diverso, il lontano, quello che non capisci molto bene, quello che di fronte al quale hai un istintivo disagio, forse anche un moto di fastidio. Anche di fronte al bisogno, anche se “ci grida dietro” il suo bisogno. Gesù  la respinge, ma non è il solo: anche i discepoli gli chiedono di cacciarla.

«Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele» è la risposta, che rispetta pienamente la preoccupazione di Gesù e che abbiamo letto nel testo di Isaia. Ma perchè è stato mandato ? Per annunciare che il Regno  dei cieli è vicino, “Convertitevi e credete alla buona notizia dell’arrivo del Messia” , perché la fine dei tempi è prossima. Gesù porta sempre un messaggio di giustizia, chiamando costantemente alla conversione i peccatori.  Il messaggio è “siete ancora in tempo”: Egli, come più volte testimoniano i Vangeli è venuto per chi non ce la fa! Non per i giusti che comunque la loro salvezza se la guadagnavano secondo il pensiero  dell’epoca ma che chi sbaglia, per chi ha bisogno del perdono come l’assetato dell’acqua; anche i peccatori  hanno la possibilità di essere salvati dalla misericordia divina.. In questo il senso di urgenza era massimo, “i tempi sono maturi” veniva predicato: bisognava agire in fretta annunciando a quelli che nel popolo di Israele si sentivano perduti che la salvezza era vicina anche per loro.  Non è la negazione della salvezza ai pagani. Già alla fine di questo brano come anche alla fine del Vangelo di Matteo il messaggio universalistico è chiaro: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Mt 28,19-20). E’ l’urgenza di salvare il salvabile.  

Di fronte al diverso che arriva Gesù risponde aspramente. Storicamente non sappiamo esattamente come è avvenuto il fatto. Qualcuno spesso edulcora la parola riportata. Un Cagnolino è qualcosa di carino, magari un cucciolo, suscita tenerezza. Ma sì alla fine non è un vero insulto, è una bonaria carezza … .  Il termine “cagnolino” in aramaico, la lingua parlate da Gesù non esiste in questa forma, non esiste il vezzeggiativo, quindi “cane” è la parola. D’altronde “cane” non era un insulto comunemente impiegato, non appartiene alla realtà ebraica del I secolo. Ma allora perché riportare un episodio del genere, che fa problema, se non ci fosse una base storica? Probabilmente quindi una risposta secca c’è stata: una parola dura di fronte ad una persona ritenuta il quel momento molesta?  Una provocazione per sfidare, per cercare l’apertura e testare la fede davanti ad una appartenente ad una classe sociale che normalmente guarda dall’alto in basso quella cui appartiene Gesù? Lo sfondo infatti è quello del conflitto tra la popolazione siro-fenicia, urbana, benestante e pagana e quella rurale, povera ed ebraica della Galilea. 

Ci viene restituito quindi  un Gesù Umanissimo, preso da una missione fondamentale, catturato dal senso di urgenza e che si prende una libertà provocatoria di fronte a chi è lontano. In questa urgenza arriva il diverso, l’altro. In quante nostre urgenze arriva l’Altro?  Non è mai il momento giusto, vero? 

Gesù qui supera i propri limiti umani, supera l’affanno della vita di missione e forse anche il pregiudizio con questa frase stupenda : «Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi». Gesù passa da un atteggiamento respingente al dono più grande. E quale dono più grande per un genitore della guarigione di un figlio. Da 0 a 100 diremmo oggi, in un batter d’occhio. E’ “Il Regno che porta Gesù” come ha detto qualcuno , lo porta oltre i propri preconcetti e questo avviene nell’incontro con l’Altro!

L’“Altro”, incontrare l’Altro. Quanti sono gli altri, quali sono gli altri? Chi appartiene ad un’altera nazionalità, ad un’altra parte della società, che professa un’altra religione. Vorrei citarvi brevemente quanto traggo dal libro “Pierre e Mohamed” che racconta dell’amicizia tra un vescovo cristiano cattolico romano ed un mussulmano, entrambi vittime di un attentato di matrice integralista. Ecco quanto dice Pierre: “L’emergere dell’altro, il riconoscimento dell’altro, l’adeguamento all’altro sono diventati per me un’ossessione. … Occorre che l’altro esista, altrimenti noi ci esponiamo alla violenza, all’esclusione al rigetto… L’altro ha il diritto di esistere…”

Gesù qui riconosce l’altro!

LA figura di Gesù nei secoli ha spesso visto esaltare la sua divinità, il Cristo pantocratore, immagine di Dio in gloria, quale Origine, Signore e Giudice finale di tutte le cose create, che è raffigurata spesso nei ricchi mosaici dorati che decorano le chiese bizantine, lo rappresenta bene. Questo è avvenuto talora a  scapito della sua figliolanza verso il Padre, ovvero la su fraternità nei nostri confronti.  Un Gesù fratello , nostro fratello, è un Gesù campione di umanità che non ci fa sentire soli coi nostri limiti e difetti, con le nostre repulsioni, con le nostre lontananze, con la nostra  istintiva alienazione dell’altro, quando faremmo altro, quando andremmo in un’altra direzione di fronte a chi grida “Abbi pietà”.

Gesù anche qui ci indica una strada che è quella del cambiare direzione e andare verso l’altro, la via  del dono, del farci portare anche noi dal Regno.

Amen 

Alessandro Serena

Anche questa domenica condividiamo il nostro breve culto evangelico curato del predicatore locale Alessandro Serena. Buon ascolto.

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Anche questa domenica condividiamo il nostro breve culto evangelico curato dalla pastora Laura Testa. Buon ascolto.

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Anche questa domenica condividiamo il nostro breve culto evangelico con la predicazione del predicatore locale Ruggero Mica e preghiere a cura della pastora Laura Testa. Buon ascolto.

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Anche questa domenica condividiamo il nostro breve culto evangelico con la predicazione del predicatore locale Alessandro Serena e preghiere a cura della pastora Laura Testa. Buon ascolto.

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Anche questa domenica condividiamo il nostro breve culto evangelico a cura della pastora Laura Testa. Buon ascolto.

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