Prima di affrontare il testo di Calvino è indubbiamente necessario operare un breve inquadramento sia del momento storico in cui è nato il libro che del pensiero del riformatore ginevrino.
Contesto
Il XVI secolo è configurato non solo dai grandi temi della Riforma e della controriforma ma anche da un fermento umano e politico che attraversa tutta la società. Un mondo dinamico da un lato -le nuovi classi sociali si stanno affermando, la borghesia irrompe nello status quo che si protrae da secoli- ma ancora sotto l’influenza del medioevo, focalizzato sulla centralità di Dio , data per scontata. Secolo ancora profondamente religioso -impossibile essere ateo nel senso moderno della parola- il pensiero difforme significa pensiero eterodosso, spesso eretico , di chi in sostanza si ritiene creda in maniera deviata. La Riforma nelle sue forme urbane, in particolare: Strasburgo, Ginevra, Basilea, (per parlare delle città in cui Calvino visse e operò), rappresenta una realtà articolata, composta da relazioni culturali, sociali, politiche e giuridiche spesso comuni al mondo delle città libere del centro-nord Europa. Un clima, quello ginevrino, arroventato da passioni e lotte, scontri tra fazioni, attacchi, aggressioni, perfettamente allineato con quello di un secolo guerriero da ogni punto di vista: militare, ideologico, politico. Con la Riforma si realizza una crisi in Europa: i valori della tradizione sono in discussione, i nuovi valori non sono ancora strutturati. Confusione, equivoci, smarrimento cui già fanno sovente seguito repressioni, scomuniche e roghi. Servono idee, ordine, struttura. Ecco che compare la figura di Calvino.
Fermenti e pensiero
Un mondo vivace e ricco di contrasti, aspetti che non possiamo non rilevare nel pensiero calviniano: calato profondamente nella situazione storica e lontano dal pensiero precostituito. Cresciuto nel celebre collegio ecclesiastico di Montaigu, frequentato anche da Erasmo e Ignazio di Loyola, studierà poi giurisprudenza, abbraccerà infine la Riforma; si attiene rigorosamente al patrimonio tradizionale delle fede cristiana, è al contempo umanista erasmiano. Modernissimo nell’uso degli strumenti filologici umanisti ne è anche avversario, teso alla realizzazione di una comunità di credenti impegnati. Tra un umanesimo che evidenzia l’importanza dell’uomo -riscoperto ma strettamente legato a Dio- ed un altro che centralizza l’uomo -emarginando Dio che diviene un satellite dell’uomo- Calvino opta per il primo: mistero di Dio e mistero dell’uomo sono intimamente intrecciati. Lo vedremo nella sua cristologia che troveremo fortemente rappresentata nell’Istituzione. La sua teologia ha un carattere sia occasionale che sistematico: nasce occasionale e diventa sistematica.

L’Istituzione della religione cristiana: origine, idee e struttura.
Origine
“L’occasionalità” la cogliamo nella stessa nascita del testo in questione. Sorge quando cominciano le persecuzioni violente contro gli evangelici di Francia. Senza dubbio già nelle corde di Calvino, il catalizzatore è stata la persecuzione, che rende necessario dimostrare che la fede dei martiri evangelici è una fede cristiana biblica, quella della fede antica. L’opera, un “libriccino” di poche pagine è divenuta dopo un lavoro di 23 anni una vera cattedrale teologica. La prima edizione, composta da sei capitoli, è del 1536, l’ultima, di 80 capitoli, è del 1559. La precede una lunga dedica introduttiva a Francesco I re di Francia. Calvino vi denuncia apertamente e con coraggiosa disinvoltura l’iniquità dei processi e delle condanne. Il primo argomento forte è che il sovrano è ministro di Dio e come tale non può tollerare che nel suo regno accadano tali ingiustizie: non una questione di fede ma di giustizia; occorre l’intervento del re perché cessino le persecuzioni o perlomeno affinché i processi siano equi e condotti in maniera tale che gli accusati si possano difendere. Nel 500 c’è spesso -anche in Lutero- questo appello al re e all’autorità politica perché ricordino i loro i doveri come ministri di Dio. Secondo argomento significativo è che la Riforma è perseguitata ma la sua dottrina è vincente, non in quanto appartenga a chi la rappresenta o ai suoi fedeli ma perché è del Dio vivente e del suo Cristo.
Comprendiamo qui la ragione del conflitto così aspro tra Roma e la Riforma , entrambe erano certe di rappresentare e farsi portavoce della verità cristiana. La Riforma comunque ha sollevato la questione delle verità cristiana: -cosa è vero- richiamandosi alla Scrittura. Calvino, in un terzo e pregnante argomento scrive al re che l’accusa rivolta agli Evangelici di essere mestatori,ribelli, sovversivi, disturbatori dell’ordine pubblico , non fa altro che riflettere come questa sia l’opera della Parola di Dio. Quando la parola entra nel mondo, si verificano tumulti, accade una reazione, la gente non è più in pace in una tranquillità superficiale fatta di tradizione e abitudini. Non siamo noi -la difesa di Calvino- a suscitare agitazione , a mettere in discussione le verità tradizionali mai approfondite , è la parola di Dio. Calvino cita Elia che disturbava i profeti, Gesù era un perturbatore dell’ordine pubblico, gli apostoli anche. Questo sommovimento è un frutto dell’opera del Signore.
Idee
L’opera non ha lo scopo di illustrare un panorama della dottrina cristiana, bensì permettere la comprensione del testo sacro. Il testo infatti, tutto sommato, è un commento alla Scrittura, si sente a suo agio sia nella Bibbia che nella riflessione ed elaborazione filosofica. Calvino si definisce filosofo cristiano, nel senso erasmiano, l’insegnamento di Cristo come filosofia cristiana. Oggi pensiamo ad una alternativa tra il pensiero biblico e quello filosofico, allora erano strettamente connessi. Nell’Istituzione troviamo questo collegamento. Il culmine della riflessione stoica, raggiunta da Seneca e vicina alla sensibilità di Calvino è presente: coerenza e scelte responsabili. Tutto comunque sottomesso alla Parola: la teologia non è verità ma un metodo di indagine della verità, non fonda la fede e vive nella dialettica: nella tensione tra Parola e fede. Quando commenta i testi biblici l’ermeneutica di Calvino è il riferimento alla chiesa, l’applicazione del testo alla situazione della chiesa, della società e dell’umanità. Questa è la sua preoccupazione fondamentale, si serve di tutta la metodologia che le scienze bibliche, storiche e filosofiche forniscono per effettuare la sua esegesi che è moderna, non è più quella della quadriga medioevale. Il suo senso fondamentale è il vissuto umano e cristiano . Sintesi quindi non solo delle idee, l’Istituzione rappresenta la coscienza di sé di una Riforma giunta a maturità.
Coscienza di sé ma anche conoscenza di Dio e conoscenza dell’uomo. Secondo Calvino conoscendo Dio ciascuno conosce anche sé stesso. Di fronte a Dio siamo nudi e obbrobriosi: la coscienza della nostra pochezza ci deve spronare a conoscere Dio. La consapevolezza ci porta a riconoscere che solo in Dio c’è saggezza, purezza, giustizia e solo dopo avere visto che dobbiamo essere insoddisfatti di noi stessi, possiamo ben considerare i beni di Dio. Possiamo quindi riconoscere la nostra dignità attraverso tali doni, che Dio ci dà come Creatore: vita, intelligenza, parola, il prossimo, la natura. Doni che ci fanno risalire alla sorgente che è Dio: la creatura in quanto tale riflette su se stessa, viene ricondotta all’esigenza di conoscere il Creatore. Non dobbiamo pensare ad una teologia naturale, ad un Dio che si fa conoscere razionalmente indipendentemente dalla rivelazione, non esiste una pre-fede. L’uomo conosce Dio nel momento in cui incontra la Parola. L’accento è quindi molto forte sulla caducità, precarietà, contraddittorietà , peccaminosità che mostrano all’uomo come egli è: non è una visione pessimista, è realista. Non siamo solo peccato ma il peccato ci condiziona largamente . Si sottolinea la pochezza e la fragilità dell’uomo per incitarlo a rivolgersi a Dio. Rappresenta una didattica, funzionale a stimolare la ricerca di Dio e al non farsi illusioni su di sé. Realismo che connota anche il pensiero sotteso alla dottrina della predestinazione: è l’osservazione pastorale del fatto che la predicazione susciti la fede solo in alcuni, mentre in altri non ha alcun effetto; una deduzione rigorosa dell’autorità divina e dell’onnipotenza del Signore sui suoi eletti.

Giovanni Calvino
Struttura
Nel 1559 esce l’ultima edizione, in latino, delle Istituzioni. Sarà tradotta in francese da Calvino stesso l’anno successivo. Diviene -tradotto in tutte le lingue- il libro di pietà di tutti i riformati d’Europa. Strutturato in 4 libri suddivisi in un totale di 80 capitoli si presenta secondo la seguente articolazione:
-Libro 1
“La conoscenza di Dio quale Creatore e Sovrano reggitore del mondo”, 18 capitoli.
Tratta di Dio creatore e della provvidenza
-Libro 2
“La conoscenza di Dio come Redentore in Cristo, prima rivelata ai Padri sotto la Legge e poi a noi nell’Evangelo”, 17 capitoli.
Ruota intorno all’uomo peccatore, salvato, redento e quindi è centrato su Cristo.
-Libro 3
“Il modo attraverso il quale riceviamo la grazia di Cristo: quali benefici ce ne provengono, e quali effetti ne conseguono”, 25 capitoli.
Appropriazione della salvezza da parte dell’uomo, fede, giustificazione, santificazione e vita Cristiana.
-Libro 4
“I mezzi esteriori e ausili, di cui Dio si serve per chiamarci a Gesù Cristo suo figlio e mantenerci uniti a lui”, 20 capitoli.
La chiesa: struttura ministeriale, rapporti con lo stato e vita della comunità cristiana.
L’Istituzione della religione cristiana; Libro II: La conoscenza di Dio come Redentore in Cristo, prima rivelata ai Padri sotto la Legge e poi a noi nell’Evangelo”
Temi principali
Calvino decide di definire la sua opera non una summa ma una Institutio. Una selezione dei testi teologici di maggiore significato, un ausilio per il credente, un volume da consultare. Il cuore dell’opera intera è in Cristo. Sia quando si parla dell’uomo che quando si parla dell’uomo e della chiesa in relazione tra loro, tutto converge intorno a Gesù.
Lo vediamo in particolare nel secondo libro: caduta dell’uomo, redenzione e cristologia quindi i tre grandi temi affrontati. Inizialmente spicca la schiavitù dell’uomo, servo del peccato; è a causa di Adamo che l’umanità intera è decaduta: l’uomo non possiede ora il libero arbitrio, quanto fa basandosi su sé stesso è oggetto di condanna. La propria volontà non consente all’uomo di operare il bene. E’ Dio che interviene nel cuore degli uomini. Cristo che come Mediatore tra Dio e gli uomini, li salva per mezzo della sua morte, resurrezione ed ascensione, meritando per noi la grazia di Dio e la salvezza. Calvino non trascura inoltre di trattare il tema della legge, attraverso l’illustrazione del decalogo e del significato profondo dei comandamenti, operando inoltre un’analisi del rapporto di continuità tra i due Testamenti.
Struttura:
-I capitoli da 1 a 5 trattano della colpa e depravazione dell’uomo.
-Il capitolo 6 inaugura il tema della salvezza mediante Gesù Cristo, che sarà illustrato nei percorsi dei capitoli successivi su Antico e Nuovo Testamento.
-I capitoli 7 ed 8 ruotano intorno all’Antico Testamento ed al ruolo della Legge, con l’esposizione dei 10 comandamenti.
-Il capitolo 9 tratta del Nuovo Testamento e di come il Cristo sia stato rivelato pienamente nell’Evangelo.
-I capitoli 10 e 11 trattano le differenze e somiglianze tra Antico e Nuovo Testamento.
-I capitoli da 12 a 17 parlano di Gesù Cristo come Persona (cap. 12-14) e delle sue opere (cap. 15-17)
Approfondimenti
Peccato originale
Il paragrafo 8 del primo capitolo offre una sintetica espressione del peccato originale: ” il peccato originale consiste in una corruzione e perversità ereditarie della nostra natura, che diffuse in tutte le parti dell’anima ci rendono, in primo luogo, meritevoli dell’ira di Dio, e in seguito producono in noi le opere definite dalla Scrittura: opere della carne.” (1) Con ampi riferimenti all’apostolo Paolo, in particolare al capitolo quinto della lettera ai Romani, Calvino illustra come la perdizione dell’uomo non derivi da Dio ma dalla nostra colpa e debolezza, dovuta al nostro decadimento dalla condizione che l’umanità aveva al momento della creazione. Quella del bene può essere una nostra aspirazione, come lo può essere quella della libertà di cui siamo sprovvisti.
Libero arbitrio
Riflettendo a partire da Agostino si definisce l’arbitrio come “servo”. Intuendo perfettamente come tale definizione possa però divenire scusante per il peccato. La vera libertà è di conseguenza quella che viene dallo Spirito, liberando la volontà dai propri desideri che la limitano. Chiarisce Calvino che il termine libero arbitrio possa trarre in inganno, facendo pensare che l’uomo disponga del proprio giudizio e della propria volontà. Il libero arbitrio quindi è “in cattività” non sarà libero fino a che la Grazia non lo consentirà.
Predestinazione
Ecco che il libero arbitrio per fare il bene è quello possibile solo se aiutati dalla Grazia di Dio, “dalla grazia speciale data solamente agli eletti attraverso la rigenerazione”(2). Si è quindi destinati: da dove Calvino trae questa conclusione, oltre che dalla Scrittura? Dall’osservazione. Egli nota come alcuni uomini siano più intelligenti di altri, vede come alcuni eccellano mentre altri permangano nella mediocrità. Una diversità che gli fa cogliere come sia necessaria l’umiltà, per rendersi conto che è la pura liberalità di Dio che dona. Parimenti la sua Grazia, donata agli eletti, riesce ad avere la preminenza sulla comune natura.
Redenzione
Il primo passo è rappresentato dalla fede in Gesù Cristo, fede nell’umiltà. Sposando pienamente le teologia e la follia della croce paolina, il predicatore ginevrino mostra come tale follia sia disprezzata dagli increduli e non piaccia allo spirito umano: “dobbiamo accettare questa follia in tutta umiltà” (3). Fede in Gesù Cristo riconosciuto come Mediatore, infatti dopo la caduta di Adamo è solo tramite la conoscenza di Dio che ci perviene per mezzo del Mediatore, che è possibile la salvezza. “La vera salvezza di Dio non può sussistere senza Gesù Cristo” (4). Calvino, da esegeta, cita diversi profeti dell’Antico Testamento a riprova del fatto che la speranza dei credenti, da sempre, riposa solo in Cristo.
La Legge e i dieci comandamenti
Allora la Legge non salva? Ancora una volta è il Cristo che rivela il vero volto di Dio. Un Dio che nei comandamenti risulta come colui che retribuisce solo la perfezione, a noi impossibile, ma che mostra in Gesù la sua grazia e la sua dolcezza, nonostante il nostro peccato. Legge non inutile ma “pungolo” perché l’uomo non si impigrisca. Nella sua esposizione dei comandamenti Calvino premette l’esistenza della legge naturale. L’uomo può intuire, tramite la legge naturale, cosa sia ben accetto a Dio, la sua cecità ed il suo peccato gli impediscono tuttavia di conoscere rettamente il Suo desiderio. Ecco che il Signore ha dato la Legge scritta a tale scopo. Emerge nell’illustrazione della Legge come Dio voglia non l’esteriorità ma la purezza del cuore. Non proibisce solo gli atti ma vieta il desiderio ed il pensiero che li precede. Dio “Essendo legislatore spirituale non parla meno all’anima che al corpo” (5). Altro punto che emerge con forza e relativo al primo comandamento è il binomio servitù-libertà. La schiavitù egiziana come immagine della servitù spirituale fino a che il Signore non interviene a liberarci; libertà per il popolo di Israele come immagine dell’elezione che conduce all’eterna beatitudine.
Cristo
Dicevamo che il secondo libro si pone in particolare rilievo per la figura del Cristo che emerge in tutta la sua profondità e valore per la fede. Gesù ne è il centro. La storia ed il senso di Gesù riproposti al cuore del credente, riposizionando la fede cristiana intorno a Cristo . E’ Dio che si rivela come Padre e Salvatore degli uomini in Cristo. Gesù Cristo che racchiude due nature in una sola persona: Dio e uomo ma come? Ecco che Calvino dà altrettanta importanza all’umanità di Gesù quanta alla sua divinità. Contrasta la dottrina secondo la quale le proprietà della divinità sono trasferibili alla umanità , rilevando altrimenti il pericolo di una umanità divinizzata nella quale l’uomo non potrebbe specchiarsi. “Ciascuna delle due nature ha conservato le sue caratteristiche e tuttavia Gesù Cristo non ha due persone distinte ma una sola” (6), in quanto Dio e Cristo non si possono dividere: “…Cristo, essendo Dio e uomo, composto di due nature unite e non confuse…” (7). Unite perché -citando Paolo (1Cor 2,8)- “Il Signore della gloria è stato crocifisso”: Gesù vero Dio e vero uomo ha visto non solo la sua umanità ma anche la sua divinità crocifissa, “quanto avvenuto nella sua natura umana è riferito alla divinità…” (8) .
Difende quindi l’umanità di Cristo dalla sua divinizzazione ma difende al contempo la sua divinità : è asceso in cielo e siede alla destra di Dio, è nella posizione della divinità; tale posizione non può essere accaparrata dalla chiesa e nemmeno da un sacramento: il corpo di Cristo è glorioso alla destra del padre.
Conclusioni
Questa è stata anche l’opera della Riforma, ridare centralità a Cristo dando rilievo assoluto alla Scrittura di cui Cristo è il centro. Centralità rispetto alla defocalizzazione di una fede che spaziava dai santi a Maria, che aveva perso Cristo: l’unica realtà che noi riceviamo da Dio nella quale Dio ci dona ogni cosa. Calvino infatti, nel dare un ruolo fondamentale alla santificazione, la fonda su Cristo: la comunione con Lui non solo giustifica ma santifica la vita. Santificazione che non può non riguardare la chiesa, che non è solo invisibile, è anche un corpo sociale che ha una visibilità e la cui forma deve essere regolata dalla Sacra Scrittura.
In definitiva L’Istituzione verte su una presa di coscienza: solo in Cristo vi sono giustizia e vita, salvezza nonostante la nostra miseria. Bene rappresenta il cuore dell’opera il paragrafo 19 del XVI capitolo che -non solo per il suo contenuto ma per la fede, la passione e la poesia che ne traspaiono- mi permetto di riportare quasi interamente:
“Se cerchiamo salvezza, il nome stesso “Gesù “ci insegna a cercarla in lui. Se cerchiamo i doni dello Spirito Santo, li troveremo nella sua consacrazione. Se cerchiamo forza, è situata nella sua sovranità. Se vogliamo trovare dolcezza e benignità, la sua natività ce la presenta: in essa egli è stato reso simile a noi per imparare ad essere pietoso. Se domandiamo redenzione, la sua passione ce la dà. Nella sua condanna, troviamo la nostra assoluzione. Se desideriamo che la maledizione ci sia allontanata, lo otteniamo nella sua croce. La soddisfazione, l’abbiamo nel suo sacrificio; la purificazione, nel suo sangue; la nostra riconciliazione è avvenuta mediante la sua discesa agli inferi. La mortificazione della nostra carne si trova nel suo sepolcro; la novità di vita, nella sua risurrezione, nella quale abbiamo anche la speranza dell’immortalità. Se cerchiamo l’eredità celeste, ci è assicurata dalla sua ascensione. Se cerchiamo aiuto e conforto e abbondanza di ogni bene, l’abbiamo nel suo regno. Se vogliamo presentarci al giudizio con tranquillità, possiamo farlo poiché è il nostro giudice.
In lui insomma è il tesoro di tutti i beni e da lui dobbiamo attingere per essere saziati, non altrove.” (9) .
Alessandro Serena
1. Istituzione della religione cristiana 1, Giovanni Calvino; a cura di Giorgio Tourn. Ed.2009, UTET Torino. Pag 363.
2. Ibidem, pag. 375.
3. Ibidem, pag. 458.
4. Ibidem, pag. 465.
5. Ibidem, pag. 491.
6. Ibidem, pag. 609.
7. Ibidem, pag. 613.
8. Ibidem, pag. 608.
9. Ibidem, pag. 657.