Giovedì 18 maggio 2023 alle ore 18:00 si terrà presso la sala conferenze della fondazione Caritro in piazza Rosmini 5 – Rovereto la presentazione del libro “Fedi e femminismi in Italia: la profezia delle donne” di Paola Cavallari.

Ne parliamo con: Monica Lanfranco (Giornalista) e Laura Testa (Pastora valdese). Modera Paola Morini (Osservatorio interreligioso sulle violenze contro donne).

Questa settimana sarà ricca di eventi che si terranno presso il nostro tempio in via Duomo angolo via Pigna.

  • Il 5 di maggio si terrà “… dire il Nome di Dio” – letture dai Diari di Etty Hillesum a cura di Lorenzo Gobbi e Mario Cignoni, con musiche originali di Gianmaria Rizzardi eseguite dall’autore
  • Il 6 di maggio si terrà “Non sei sola!” – Incontro sull’impegno delle chiese per difendere i diritti delle donne
  • Il 7 di maggio si terrà “La polifonia di Dio” – concerto del Coro Ecumenico di Verona

Inoltre durante tutte e tre le giornata sarà possibile visitare la mostra “La Parola scritta” a cura della Società Biblica in Italia

Siete tutti e tutte invitati!

INGRESSO LIBERO

Fili 4,4-6

4 Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi.
5 La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. 6 Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti.

Predicazione

In molte case si tramanda la tradizione della corona di avvento ed oggi -quarta domenica di Avvento- si accende la quarta candela. E’ una tradizione che risale al XIX secolo: fu un pastore protestante ad idearla e si diffuse da noi nella seconda  metà del secolo scorso. 

E’ un simbolo affascinante che rappresenta l’avvicinamento al Natale: ogni domenica si accende una candela e quindi la luminosità aumenta domenica dopo domenica per splendere in maniera completa oggi, in occasione della quarta domenica di avvento. Risplende: siamo  ormai prossimi alla venuta di Gesù, la Luce del Mondo.  Ogni candela è simbolica. La prima è denominata “del Profeta”, la seconda “di Betlemme”, la terza “dei pastori” la quarta è detta “degli angeli”. 

Cosa accade ogni qualvolta accendiamo una candela? L’ambiente si rischiara, con certezza. Non è possibile che questa non avvenga, possiamo esserne sicuri. Cosa ci trasmettono le candele accese? Luce, calore,  persino un senso di pace e di intima gioia;  se indugiamo nell’osservarla ci sentiamo quasi abbracciare, avvolgere dal mistero della Luce divina che si incarna in Gesù Cristo. 

Una candela accesa, inevitabilmente illumina. 

Il testo di oggi è la nostra candela. Quando il buio, lo sconforto, la fragilità, la disperazione  ci sommergono possiamo leggerlo e esso inevitabilmente illumina. 

L’esortazione iniziale è decisa e ripetuta: Rallegratevi! E’ rivolta al nostra parte più intima: siate gioiosi (la lettera ai Filippesi secondo alcuni è la lettera della gioia). Non solo: quello che fate di bello lo si veda all’esterno. E’ tutta la nostra persona coinvolta, dentro e fuori:  nella sua interezza. E’ una gioia che coinvolge tutta l’esistenza ed è capace di trasformare anche il nostro essere e le nostre relazioni ma … attenzione, ci trasforma ma non per essere mansueti e docili. Il testo originale qui  usa un termine greco che significa in realtà: ragionevoli, capaci, buoni, virtuosi, eccellenti. E’ ben altro, perché comprendiamo che qui non si tratta di docilità ma di forza. Serve forza per avere queste qualità. La domanda sorge immediatamente: “Questa forza dove la prendo?” . La risposta è lì, pronta: il Signore è vicino.  In Lui abbiamo la forza … gioia e forza. Certo, non basta. Che il Signore è vicino come lo scopro, come lo so? L’apostolo Paolo indica una strada: rivolgiti a Lui. Cura la relazione con il Signore, chiedi, ringrazia,  parla; per ogni cosa , non avere timore, abbandonati! 

Ecco che allora, la vicinanza promessa arriva. Una promessa che è pace. Notiamo bene: pace; il testo non dice che esaudirà ogni nostra richiesta, qualunque essa sia. Vi è qui  il mistero della preghiera, il dramma della preghiera non esaudita, del “perché non guarisci il mio amico malato di tumore “. La Bibbia però ci dice che qualcosa avviene, in noi, nei nostri pensieri. In maniera inspiegabile -supera la nostra intelligenza- qualcosa avviene: è la pace di Dio che custodisce i nostri cuori e i nostri pensieri in Gesù. Custodisce … Anche custodire è un termine che edulcora, addolcisce il senso del testo. Più correttamente si intende qui: sorvegliare presidiare , difendere. Era un termine quello originale che era spesso usato in ambito militare.  In Gesù abbiamo chi difende con forza, con vigore, chi non abbassa mai la guardia. In Lui abbiamo pace e forza. Sì ma difendere da chi, da cosa? Dalla disperazione, dal dubbio, dalla  fatica, dall’angoscia, dalla solitudine, dalla morte.  Possiamo farlo a ragione ben veduta perché  è una difesa che si fonda sulla grazia di conoscere la resurrezione di Cristo e la sua signoria capace di  trasformare le nostre vite in questo mondo e nel prossimo. 

Gioia, pace e forza. Questa è la promessa del Signore. Possiamo contarci. E’ inevitabile come è inevitabile che una candela accesa illumini e risplenda nell’oscurità.

Che il Signore, con la sua gioia, con la sua vicinanza, con la sua dolcezza, con la sua forza, con il suo amore incondizionato ci doni la sua pace che supera ogni intelligenza e custodisca in nostri cuori e i nostri pensieri in Cristo Gesù. Il Signore è vicino, il Signore viene.

Amen!

Alessandro Serena

Immagine di Myriam Zilles via Pixabay

Il 4 Dicembre 2022 alle ore 17:30 presso il Tempio Valdese di Via Duomo / angolo Via Pigna

Il coro della chiesa evangelica coreana di Verona offre un concerto di Natale con letture bibliche. Il concerto e aperto a tutti e completamente gratuito. Siete tutti e tutte invitati!

Marco 2,1-12

1 Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo in Capernaum. Si seppe che era in casa, 2 e si radunò tanta gente che neppure lo spazio davanti alla porta la poteva contenere. Egli annunciava loro la parola. 3 E vennero a lui alcuni con un paralitico portato da quattro uomini. 4 Non potendo farlo giungere fino a lui a causa della folla, scoperchiarono il tetto dalla parte dov’era Gesù; e, fattavi un’apertura, calarono il lettuccio sul quale giaceva il paralitico. 5 Gesù, veduta la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati». 6 Erano seduti là alcuni scribi e ragionavano così in cuor loro: 7 «Perché costui parla in questa maniera? Egli bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non uno solo, cioè Dio?» 8 Ma Gesù capì subito, con il suo spirito, che essi ragionavano così dentro di loro, e disse: «Perché fate questi ragionamenti nei vostri cuori? 9 Che cosa è più facile, dire al paralitico: “I tuoi peccati ti sono perdonati”, oppure dirgli: “Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”? 10 Ma, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati, 11 io ti dico», disse al paralitico, «àlzati, prendi il tuo lettuccio, e vattene a casa tua». 12 Ed egli si alzò e, preso subito il lettuccio, se ne andò via in presenza di tutti; sicché tutti si stupivano e glorificavano Dio, dicendo: «Una cosa così non l’abbiamo mai vista».

Predicazione

L’abbiamo sentito, molte volte, fino al punto di diventare una frase scontata, quasi banale. Scriveva un importante scrittore e filosofo del ‘700: “Dio mi perdonerà, è il suo mestiere!”.

Altrettanto celeberrimo è il racconto, così vivido. Ci proietta nella Palestina del primo secolo. Immaginiamo facilmente la folla che circonda la casa, che gremisce l’abitazione. Le case del popolo allora erano ad un solo piano, con un tetto in legno ricoperto di terra. Letteralmente il termine “scoperchiarono” è “scavarono”. Viene calato il lettuccio, immaginiamo con molta cautela, magari in mezzo a strepiti e confusione. Possiamo immaginare frasi quali: “Attenzione là sotto” oppure “piano, fate piano, è molto malato”. Pensiamo anche alla fatica per farsi strada fino a Gesù nella casa, un ambiente stretto e sovraffollato, il caldo, le mosche, gli odori intensi ed acri. L’umanità, con la sua fragilità, le sue ansie, i suoi sbagli, la sua miseria e le sue speranze circonda Gesù. Finalmente, forse anche grazie a qualche spinta, accostano il malato a Gesù. Egli “vede” la fede degli amici, la nota, la osserva e pronuncia -a sorpresa prima di ogni altra azione- la frase che è il fulcro del racconto evangelico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”.

Una bomba! Improvvisa nasce la controversia: alcuni accusano Gesù: solo Dio può perdonare i peccati; diremmo oggi: “Ma chi ti credi di essere?”. In realtà l’accusa rivolta è grave: si tratta di blasfemia e la condanna per questo genere di affermazioni è la morte. Gesù non teme, risponde con decisione: “Cosa è più facile, dire ti sono perdonati i peccati o prendi la tua barella e cammina?”. Non si tratta di una gerarchia dei poteri di Gesù, quasi si volesse stabilire una graduatoria di difficoltà tra perdonare e guarire: è l’annuncio di qualcosa di rivoluzionario ovvero l’autorità di Gesù di annunciare il perdono dei peccati. Dio gli dà infatti il potere ed il diritto di guarire e perdonare. Nel perdono è il Regno che si realizza, Gesù non è l’usurpatore di un potere divino ma è l’esecutore del disegno divino di salvezza da oggi e per sempre. “Il Figlio dell’uomo” ha questo potere ci dice il Vangelo ed il Figlio dell’Uomo è Colui che ha autorità, muore e risorge e verrà nella gloria.

Guarire e perdonare sono due azioni che mettono sullo stesso piano malattia e peccato. Noi siamo abituati a pensare diversamente: la malattia riguarda la scienza, il peccato la chiesa ma duemila anni fa non era così. Gesù considera l’uomo nella sua unità: la sua vita è deturpata dal peccato e dalla malattia senza che si possa distinguere nettamente tra i due. Perdono e guarigione sono espressioni di un unico intervento riparatore di Dio.

Gesù annuncia il perdono ai peccatori, a chi non ce la fa! Ai molti che con le proprie forze non riescono ad essere giusti (o a ritenersi di esserlo) quelli che non riescono a guarire, ad alzarsi.  Ad un’umanità che non riesce a sollevarsi sopra i propri sbagli per ricominciare. A donne e uomini che forse non riescono nemmeno a perdonare sé stessi e temono quindi che il perdono di Dio non sia per loro. Lo annuncia ad un’umanità che lo circonda: malata, ferita, sofferente, peccaminosa … paralizzata!

La fede degli amici del paralitico precede il perdono e la guarigione. È la fede che attraverso un’azione riconosce il potere di Gesù.  Quando analogamente noi attraverso le nostre azioni riconosciamo che Gesù possiede questa autorità, i miracoli possono accadere.  E’ la fede che riconosce che il perdono è  possibile, che il perdono cambia la realtà, oggi e per sempre.  E’ il Signore infatti che opera ed apre a nuove ed inaspettate possibilità . Nel testo leggiamo che il malato “si alzò” ma nell’originale il verbo (egheiro) è al passivo ovvero fu alzato. Possiamo avere fiducia perché è il Signore che ci solleva.

Il perdono salva, guarisce e libera.

Salva perché il perdono del Signore, non certo per i nostri meriti o per i nostri sforzi è già annuncio di vita eterna.

Guarisce perché il perdono ci dona l’armonia e la felicità che vengono da un rapporto sano e buono con Dio,  con il mondo e con sé stessi

Libera, perché accettando il perdono riconosciamo la nostra infermità e incapacità e possiamo farci alzare sulle macerie dei nostri  sbagli, delle nostre fragilità e ricominciare … ricominciare è sempre possibile. Libera   perché perdonati, possiamo perdonare e consentire agli altri di sollevarsi a loro volta.

Ecco perché si dice che il perdono è divino, in ogni visibile atto di perdono la realtà cambia ed il Regno si realizza.

Amen.

Alessandro Serena

Immagine di Heather Truett tramite Pixabay

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Matteo 20,1-16

1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale uscì di mattino presto per assumere dei lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con i lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito di nuovo verso l’ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: “Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che è giusto”. Ed essi andarono. 5 Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. 6 Uscito verso l’undicesima, ne trovò degli altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?” 7 Essi gli dissero: “Perché nessuno ci ha assunti”. Egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Allora vennero quelli dell’undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno. 10 Venuti i primi, pensavano di ricevere di più; ma ebbero anch’essi un denaro per ciascuno. 11 Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo: 12 “Questi ultimi hanno fatto un’ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo”. 13 Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. 15 Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?” 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi».

Predicazione

Care sorelle e cari fratelli,

il brano intorno al quale svolgiamo la nostra riflessione oggi ben si adatta a questo primo maggio, Festa del Lavoro. La parabola degli operai dell’ultima ora parla infatti di lavoro, di salario, di giustizia. Ma parla anche di accoglienza, di grazia.

È una parabola che si sviluppa su più livelli, uno prettamente giuridico, uno sociale ed uno più profondamente teologico.

Vorrei suddividere questa breve meditazione in tre capitoli che chiamerei

  1. Merito e bisogno
  2. Accoglienza ed esclusione
  3. Ricompensa e grazia

Dunque, il protagonista della parabola, il padrone di casa, che possiamo identificare con il Signore, va sulla piazza ed ingaggia dei lavoratori per la sua vigna. Ne trova un primo gruppo all’alba e li ingaggia per un denaro al giorno; ritorna poi altre tre volte nella tarda mattinata, nel pomeriggio e all’imbrunire ed ogni volta prende con sé gli operai che incontra nello stesso luogo e che cercano lavoro promettendo loro un giusto compenso. A sera, finito il lavoro e giunto il pagamento, accade ciò che anche a noi sembra offensivo ed in contrasto con il nostro senso di giustizia.

Come è possibile riconoscere lo stesso salario a chi ha sgobbato l’intero giorno e a chi ha lavorato una frazione di giornata e persino a chi, come gli operai dell’ultima ora, ha curato la vigna per poche ore. Non c’è rispetto per il diritto, per la legge dell’equivalenza per la quale a pari lavoro deve corrispondere pari salario con un criterio di proporzionalità.

Non è quello che il movimento dei lavoratori difende anche oggi 1° maggio? Un giusto salario per il lavoro.

Gesù capovolge questa impostazione, e veniamo al tema merito/bisogno.

Non sappiamo perché i lavoratori della terza ora e gli altri, fino alla nona, non fossero presenti fin dall’alba ad offrire il proprio lavoro. Sappiamo però, e lo sa il padrone generoso, che anche questi hanno famiglia da mantenere, bisogni primari da soddisfare, malattie da curare.

Gesù oppone quindi alla legge del merito, dell’equivalenza, il diritto che nasce dal bisogno e nella parabola l’innalzamento degli ultimi che diverranno primi.

E nel fare questo non viene leso il diritto dei lavoratori della prima ora, che ricevono il compenso pattuito, ma viene riconosciuto il sostegno a chi ha gli stessi bisogni ma meno opportunità.

All’epoca di Gesù tutto questo suonava come un’offesa al senso comune; oggi possiamo considerare la generosità del padrone come una forma primitiva di welfare.

E veniamo al secondo livello, della tensione tra accoglienza ed esclusione

Dinanzi alle rimostranze dei lavoratori della prima ora, il padrone rivendica il suo diritto di fare quel che vuole del suo denaro.

Ho sentito una spiegazione di questo fatta da un noto psicologo che raccontava come in casa, quand’era piccolo, si viveva piuttosto in ristrettezze, e si mangiava carne solo una volta la settimana e quando la mamma faceva le parti gli occhi del bambino eran sempre fissi sulla porzione data a sua sorella. La mamma gli diceva ogni volta “guarda nel tuo piatto!”

Guarda nel tuo piatto, che è un modo di dire diffuso, sembra uno dei significati di questa parabola. Guarda nel tuo piatto e non in quello di tuo fratello che potrà forse avere meno meriti di te ma sicuramente ha gli stessi bisogni. Un invito ad accogliere, a non escludere. Un invito a vincere l’invidia e la gelosia.

L’invidia e la gelosia che ricorrono spesso nella bibbia ed anche tra gli apostoli nella contesa per la gerarchia interna in terra e nel posto che occuperanno nel regno dei cieli. L’invidia e la gelosia che proviamo nelle nostre chiese quando non sentiamo apprezzato e valorizzato il nostro lavoro e la nostra fedeltà quando guardiamo all’accoglienza che viene riservata ai nuovi arrivati da altre comunità o da altre chiese cristiane.

È la gelosia del figlio devoto che si lamenta col padre perché in onore del ritorno del figliol prodigo si fa una festa e si mangia l’agnello migliore. È il risentimento dei primi che non vogliono essere equiparati agli ultimi.

Ricompensa e grazia.

Il Signore è un Dio giusto ma anche generoso e nella visione dell’evangelo la compassione di Dio sorpassa in larga misura la sua giustizia così come la ricompensa del regno dei cieli è frutto della grazia gratuita e unilaterale.

Quello che Gesù sperava, raccontando questa parabola, è che un giorno gli operai della prima ora impareranno a lasciare da parte la loro gelosia e il loro risentimento per un padre così generoso; impareranno che essere al lavoro da molto tempo, può essere a volte faticoso e può sembrare poco gratificante a volte, ma certamente è una benedizione e non una maledizione.

Lavorare nella vigna del Signore, può aver prodotto momenti di fatica, ma ci ha anche permesso di scoprire il senso della nostra vita e la speranza.

Cosa possiamo fare per non essere gelosi, ma per gioire nella consapevolezza che il Signore chiama e accoglie quanti più possibile, fino in fondo, fino a quando il giorno non è finito? Dobbiamo capire – e non è facile – che il ragionamento di Dio è diverso dal nostro!

La nostra idea di giustizia non può incontrarsi con la Grazia di Dio. La sua azione è tutta incentrata sulla Grazia, è sempre gratuita, non richiede il pagamento di ciò che non potremmo permetterci!

Questa è la nostra grande occasione, la nostra fortuna: che Dio non applica i nostri criteri di giudizio e di remunerazione.

Nel nostro mondo per ogni cosa guadagniamo, riceviamo e meritiamo in base a ciò che facciamo e a ciò che siamo capaci di fare. E in questo modo gli ultimi rimangono sempre gli ultimi, perché quando non si ha nessuna possibilità all’inizio, non se ne troverà lungo la strada.

Nel mondo di Dio tutto è Grazia e noi dobbiamo solo imparare a riceverla.

Una volta che abbiamo ricevuto gratuitamente, ciò che non meritiamo, come potremmo ancora essere invidiosi per quelli che arrivano dopo. Una volta che abbiamo ricevuto gratuitamente, capiamo che la dimensione più grande della Grazia è quella di donare, anche di donare sé stessi.

Solo allora potremo rispondere alla sua chiamata e lavorare nella sua vigna, con umiltà e testimoniando l’amore e la speranza che il Vangelo ci ha annunciato.

Amen.

Roberto Mellone

Immagine di Jill Wellington tramite Pixabay

Riprendono i corsi online di storia valdese! Quattro incontri per scoprire (o ripassare!) personaggi, luoghi e avvenimenti della storia valdese, dal medioevo al Novecento.

Giovedì 27 gennaio, 3, 10 e 24 febbraio alle 17:30 su Google Meet.

Tutte le persone interessate sono benvenute! Per informazioni e iscrizioni scrivere a il.barba@fondazionevaldese.org

Il 30 Novembre 2021 alle ore 18.00 presso il Tempio Valdese di Via Duomo / angolo Via Pigna

La Chiesa Evangelica Valdese di Verona ha l’onore di presentare un libro prezioso in cui la laicità di Fo e la profonda fede nel bene e nella giustizia si intrecciano e si confrontano nella scena della vita di Gesù di Nazareth, grazie alla sapiente riflessione di Marco Campedelli.

Una riflessione che mette in luce la distanza tra le fede in Gesù, sempre a fianco dei poveri e dei bisognosi in una maniera partecipe e solidale, e le istituzioni umane, persone, governi e chiese, che sovente non sanno guardare oltre al proprio interesse.

L’autore metterà in scena alcuni passaggi del libro e del testo di Fo facendoli dialogare tra loro, e risponderà alle domande del pubblico.

Introduce la pastora Laura Testa

Green Pass necessario

Romani 3:21-28

21 Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: 22 vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono – infatti non c’è distinzione: 23 tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio – 24 ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. 25 Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, 26 al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù.
27 Dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; 28 poiché riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge.

Predicazione

Care sorelle e cari fratelli,

Giustificati mediante la fede senza le opere! Cosa significa esattamente? Cosa significa essere giusti davanti a Dio? GIUSTI davanti a Dio, chi può esserlo? E … se si può esserlo, come? Soprattutto: che significato ha nella nostra vita di ogni giorno, essere giusti. Il brano di Paolo è celeberrimo sia per tutta la cristianità in generale che per noi protestanti in particolare. Questi versetti diverranno un caposaldo della Riforma di Lutero: la salvezza per grazia attraverso la fede. Vediamo di comprendere:

  • cosa intendeva dire Paolo ai suoi contemporanei della città di Roma
  • cosa ha inteso leggervi Lutero
  • qual è il messaggio eterno, che parla ad ognuno di noi, oggi, qui e per sempre.

Cosa intendeva dire Paolo ai suoi contemporanei della città di Roma

Paolo scrive ad una comunità che non conosce personalmente, che non ha fondato; vorrebbe visitarla ed invia loro quella lettera che costituirà una vera summa per il pensiero cristiano, la lettera ai Romani appunto. Intende presentare il proprio pensiero, il Vangelo che ha ricevuto e come lo ha inteso. La comunità di Roma è composta in prevalenza da giudeo-cristiani, provengono dalla fede ebraica, non dal paganesimo, conoscono quindi molto bene i testi sacri ed anche le idee che animano il mondo giudaico, in Palestina e fuori. Uno dei problemi maggiormente sentiti è proprio quello della salvezza. Chi si salverà? Pochi, molto pochi. L’idea, in particolare della corrente farisaica, da cui Paolo proveniva era che la salvezza fosse “affare di pochi”. I meriti, le opere era indispensabili, una giustizia quella di Dio paragonabile a quella di un tribunale, severo, che pone sulla bilancia quanto si è o meno fatto, un esiguo numero di persone poteva salvarsi.

A fronte di questo qual è il messaggio di Paolo? Qual è il messaggio del cristianesimo? Nel Vangelo di Marco è detto che “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” . Perché molti? Perché non tutti? Cristo è venuto per la salvezza dei molti , non tutti, non per esclusione ma perché se pochi sono quelli che si salvano, “i molti” sono i peccatori. Il movimento cristiano si concentra sui molti che non si salvano, perché non offrire la salvezza sarebbe in contraddizione con la misericordia di Dio. Questo quindi è quanto il cristianesimo primitivo annuncia: NON E’ VERO CHE quando viene il giudizio pochi si salvano e molti no. NON E’ VERO CHE DIPENDE DA QUANTO FAI, DALLE TUE FORZE. E’ VERO CHE DIPENDE DALLA GRAZIA DI DIO, DALLA SUA MISERICORDIA. Pensiamo alla Parabola dei lavoratori nella vigna di Matteo: la salvezza è per chi ha lavorato tutto il giorno ma anche per chi ha lavorato meno: Dio è misericordioso , che ti importa se ha lavorato meno ore? Per i cristiani il focus è sull’aiuto gratuito di Dio. Questo dice Paolo nella lettura di oggi dalla lettera ai Romani: “L’uomo è giustificato mediante la fede, senza le opere della legge” A noi quindi, noi, qui, oggi viene annunciato da Paolo che quell’eredità è nostra. La giustificazione è trasformazione, è divenire una nuova creatura, è partecipare ad un’altra essenza, ad un’altra potenza. Rivolgendosi ad un malato prima lo si deve guarire: dargli le gambe, poi può camminare, se non ha le gambe non può . Il Signore PRIMA ci guarisce, ci trasforma, ci dà il suo perdono e POI noi possiamo attingere a questa immensa risorsa per spendere una vita che è piena della SUA grazia, della SUA forza, del SUO amore, come lui ci ha insegnato: AMANDO, perché siamo stati amati per primi.

E la fede ? E’ fiducia in Dio. Abbiamo letto che “è stata manifestata la giustizia di Dio…mediante la fede in Gesù Cristo”. E’ Gesù che realizza tutto questo, permettendoci di confidare in Lui piuttosto che in noi stessi. Mediante Cristo il Signore ristabilisce la sua misericordiosa sovranità, ovvero un ri-orientamento di ciò che crediamo, un ri-orientamento dell’essenza intima del nostro essere, un ri-orientamento del nostro atteggiamento verso noi stessi e verso gli altri, una ri-forma.

Cosa ha inteso leggervi Lutero

La Riforma prenderà molto seriamente il messaggio di Cristo in Paolo. Per Lutero Romani è “L’Evangelo più puro”. In un mondo ancora medioevale, pervaso dal terrore della dannazione, del castigo eterno, dove spesso la propria incapacità di essere perfetti getta nella disperazione le persone, sorge come un’alba il messaggio di Lutero: la giustizia di Dio non è quella che appartiene a Dio come sua caratteristica, lo è certo, giusto, ma in questo caso Lutero intende la giustizia di Dio in quanto è quella che PROVIENE da Dio, che DIO CI DONA, rendendoci giusti. Cosa vuol dire che Dio ci dona questa giustizia? Lutero utilizza un linguaggio giuridico: intende spiegare che la POTENZA della Grazia risiede COMPLETAMENTE, TOTALMENTE nel fatto che è Dio che pronuncia la parola di assoluzione. La giustizia viene quindi attribuita , l’imputato è dichiarato giusto dal giudice, anche se magari non lo è in realtà. TUTTO il peso dell’evento sta nella parola pronunciata non nell’imputato, per sottolineare che è un radicale dono. Il Riformatore annuncia che Dio è libero e che la sua grazia è INCONDIZIONATA, senza se e senza ma, diremmo oggi. Ecco cosa è la salvezza per grazia mediante la fede, nonostante i nostri sbagli, i nostri errori , la nostra miseria c’è una misericordia che ci cerca, che ci viene vicino, che ci salva, INDIPENDENTEMENTE dal mio operato , perché fin quando ci sono di mezzo io, sono rovinato. Ecco il capovolgimento che Martin Lutero ha introdotto ( e naturalmente prima di lui Paolo) : rimettere al centro l’azione liberante di Cristo: la fede è frutto della libertà che ci libera dal dover essere, dal dover fare, perché siamo giusti in quanto giustificati.

Qual è il messaggio eterno, che parla ad ognuno di noi, oggi, qui e per sempre

Tutto bene quindi? Possiamo fare quello che vogliamo, tanto siamo salvi? Era l’accusa rivolta ai primi protestanti, “Quelli ? Non hanno bisogno di fare del bene, anzi, ritengono di potersi comportare nei modi peggiori … non temono la giustizia di Dio!”. Intendiamoci, accusa non priva di un fondo di verità, per certi aspetti: Dietrich Bonhoeffer, Pastore luterano, impiccato dai nazisti nel 1945 in un campo di concentramento per la sua fattiva opposizione al nazismo, avrebbe parlato 400 anni più tardi di “Grazia a buon mercato”, quella di chi ritiene che il perdono non abbia implicazioni nella nostra vita. Potremmo anche dire che se la grazia è costata cara, la croce di Cristo, non possiamo

pensare che la fede non cambi nulla, non si è perdonati inutilmente! Il perdono, per sua natura, fruttifica. Le opere verranno come gratitudine del cristiano per la salvezza raggiunta, non come condizione per ottenere questa salvezza: esse sono l’espressione e non la condizione della salvezza.

Su una cosa però i detrattori della Riforma avevano ragione al 100%: NON ABBIAMO PAURA. Non temiamo un Dio giudice lontano, abbiamo FIDUCIA nelle promesse divine, in un Dio che è amore e misericordia che ci cerca, che ci salva, che nel farlo ci rende suoi strumenti. Non temiamo nemmeno la nostra debolezza. Sempre l’apostolo Paolo lo dice nella seconda lettera ai Corinzi: “Ti basta la mia grazia, la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” ed ancora dice Paolo, “… quando sono debole, è allora che sono forte”. Lo scrive Paolo, che non è stato guarito dalla sua malattia, dalla sapienza nella carne che lo tormenta, che ha subito lapidazioni, processi, prigionia. Quando sono debole è allora che sono forte. Non avere paura, forza nella debolezza, in sostanza significa essere liberi dall’affanno del dover fare, del dover dimostrare. Dimostrare a chi? Sapete qual è la vera condanna della legge? La vera condanna della legge è quella della legge che RITENGO DI DOVER RISPETTARE per dimostrare qualcosa agli altri, alla società, o a me stesso. Poi arriva Qualcuno, con la Q maiuscola che dice : “Guarda così non ottieni nulla, perché allora hai già la tua ricompensa” e ci spiazza, sbaraglia queste finte sicurezze. Kurt Marti , pastore e poeta svizzero parla di ” Un mondo che si scardina per troppa efficienza”, che è una immagine efficace della nostra realtà e che magari siamo tentati di trasporre nella nostra relazione con Dio. Come raggiungo un obiettivo lavorativo, sociale, sportivo, allo stesso modo penso di raggiungere la salvezza; poi arriva ancora Qualcuno, quello di prima che ci dice: “non hai capito, il mio perdono non è una tua conquista, non è subordinato alle tue azioni o a quello che tu ritieni giusto”. Noi in un mondo che misura tutto sull’efficienza, non abbiamo quest’ansia, non dobbiamo conquistare il cielo. Allora cosa dobbiamo fare? Rivolgiamoci a Dio, con … fede, con …fiducia. A Dio, ma come? Abbandonati ai nostri pensieri? Soli davanti alla nostra coscienza? Soli…mai lo siamo , perché la coscienza non è una scatola vuota dove si agitano i nostri pensieri ma è lo spazio in cui DIO AGISCE. Lutero , nel 1521, convocato di fronte la dieta imperiale di Worms ebbe a dire: ” sono vinto dalla mia coscienza e prigioniero della Parola di Dio (…) perciò, non posso né voglio ritrattarmi, poiché non è sicuro né salutare fare alcunché contro la coscienza. Dio mi aiuti (…) non posso altrimenti!».

Lasciare agire Dio nel nostro spazio, lasciarci amare attraverso il suo perdono e la sua misericordia, essere strumenti. Un violino, se è tale, in mano ad un Maestro non può non suonare la sua melodia, deve solo lasciare scorrere l’archetto , lasciare agire le sapienti dita del musicista e l’aria intorno non sarà più la stessa.

Ecco, il migliore augurio che possiamo farci in occasione della Festa della Riforma è essere strumenti, una preghiera che possiamo rivolgere al Signore: rendici docili strumenti nelle tue sapienti mani Signore, te lo chiediamo nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore.

Amen.

Alessandro Serena